26 aprile 2021
ore 15:53
di Manuel Mazzoleni
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 Per tutti

Correva il 26 Aprile 1986 quando nella centrale di Cernobyl', situata vicino all'insediamento di Pripjat', in Ucraina, a 110 km a nord della capitale Kiev era in corso un esperimento, definito come test di sicurezza. Programmato da tempo esso voleva verificare se la turbina accoppiata all'alternatore potesse continuare a produrre energia elettrica sfruttando l'inerzia del gruppo turbo-alternatore anche quando il circuito di raffreddamento non producesse più vapore. Secondo i tecnici questo avrebbe aumentato la sicurezza dell'impianto, ma come tutti noi sappiamo l'epilogo fu totalmente differente. 

Tale test porto infatti all'esplosione del reattore numero 4, dal quale si sprigionò una nube radioattiva che ben presto invase tutta l'Europa, Italia compresa. Una ferita ancora aperta a 30 anni dal disastro, il più elevato della scala INES insieme a quello più recente del Giappone. Nonostante siano passati tanti anni ancora non sono certe le cause dell'incidente. Secondo una prima tesi, pubblicata dalle autorità dell'agosto 1986, la responsabilità del disastro fu attribuita interamente agli operai che nel loro test violarono procedure di sicurezza fondamentali, una seconda pubblicata nel 1991 oltre agli operai le colpe sarebbero da dividere anche con i progettisti, che tennero nascoste gravi debolezze intrinseche di progettazione del reattore nucleare RBMK. Ma cerchiamo di capire cosa avvenne precisamente 30 anni fa nella piccola cittadina ucraina.

Il 25 aprile 1986 era programmato lo spegnimento del reattore numero 4 per normali operazioni di manutenzione. Si volle approfittare di questa prevista fermata per eseguire un test sui sistemi di sicurezza. Il test intendeva valutare la capacità del gruppo turbine/alternatore di gener
are elettricità sufficiente per alimentare i sistemi di sicurezza e di raffreddamento anche in assenza di produzione di vapore dal reattore nella primissima fase del transitorio, ovvero il periodo durante il quale sarebbero dovuti subentrare i generatori diesel di emergenza (40 secondi circa). L'obiettivo del test era sfruttare l'energia cinetica residua nelle turbine ancora in rotazione, ma isolate dal reattore, per generare energia elettrica che alimentasse le pompe dell'acqua per il tempo necessario all'avvio dei generatori diesel. Purtroppo per una serie di fattori ( incompetenza del personale presente per il turno di notte, errori procedurali, errori progettuali) alle 01:23:47, la potenza del reattore raggiunse il valore di 30 GW termici, dieci volte la potenza normale. Le barre di combustibile iniziarono a fratturarsi bloccando le barre di controllo con la grafite all'interno, quindi il combustibile cominciò a fondere; inoltre, alle alte temperature raggiunte, l'acqua all'interno del reattore reagì chimicamente producendo grandi volumi di idrogeno gassoso. La pressione del vapore aumentò fino a causare la rottura delle tubazioni e causò l'allagamento del basamento. Quando il combustibile fuso raggiunse l'acqua di raffreddamento, avvenne la prima esplosione di vapore (alle 1:24); dall'interno del nocciolo il vapore risalì lungo i canali e generò un'enorme esplosione che fece saltare la piastra superiore del nocciolo. Tale piastra, in acciaio e cemento, pesante circa 1000 tonnellate, fu proiettata in aria con le tubazioni dell'impianto di raffreddamento e le barre di controllo, e ricadde verticalmente sull'apertura lasciando il reattore scoperto. La seconda esplosione fu causata dalla reazione tra grafite incandescente e l'idrogeno gassoso. Fu distrutto il solaio, gran parte del tetto dell'edificio crollò e fu danneggiato il tetto dell'adiacente locale turbine; i frammenti di grafite si sparsero nella sala principale e intorno all'edificio. Il nocciolo del reattore si trovò così scoperchiato e all'aperto, a contatto con l'atmosfera. Dalle esplosioni si sollevò un'alta colonna di vapore ionizzato. Al contatto con l'ossigeno dell'aria, per le altissime temperature dei materiali del nocciolo, nel reattore divampò un violento incendio di grafite che coinvolse i materiali bituminosi di copertura del tetto e altre sostanze chimiche presenti. Questo incendio contribuì in misura enorme alla diffusione di materiali radioattivi nell'atmosfera. Un effetto secondario dello scoperchiamento del reattore, d'altra parte, fu che il movimento d'aria contribuì al raffreddamento del nocciolo liquefatto.

Nonostante la gravità dell'evento magliaia di persone intervennero per arginare l'incendio senza adeguate protezioni ed ignare del rischio a cui andavano incontro. Secondo i primi dati le radiazioni nei pressi del reattore misuravano ben 20.000 Röntgen/ora, ovvero 1 miliardo di volte superiore a quello naturale. Sono sufficienti 500 Röntgen distribuiti in un lasso di 5 ore per uccidere un essere umano. Solo una piccola parte degli strumenti di rilevazione a disposizione erano in grado di effettuare misure fino a 360.000 Röntgen/ora (R/h); molti di quelli impiegati arrivavano ad un massimo di 3,6 R/h. In alcune zone, visto che la propagazione delle radiazioni è a macchia di leopardo, i valori stimati superavano di oltre 5.000 volte il valore riportato dagli strumenti meno efficienti. Il reattore continuò a bruciare per giorni e venne spento con l'ausilio di elicotteri che sganciarono tonnellate di boro, silicati, sabbia e dolomia, materiali adeguati per trattare un incendio di tale natura poiché particolarmente efficaci nella schermatura delle radiazioni e soprattutto secchi, così da non produrre colonne di vapori radioattivi. La città di Pripjat' venne tuttavia fatta evacuare solo 36 ore dopo l'incidente e solo circa un mese dopo, tutti i residenti nel raggio di 30km dall'impianto, circa 116.000 persone, erano stati trasferiti. Una volta spento l'incendio e tamponata la situazione di emergenza, negli anni successivi si procedette alle operazioni di recupero e di decontaminazione dell'edificio e del sito del reattore e delle strade intorno, così come alla costruzione del sarcofago. Incaricati di queste operazioni furono i cosiddetti liquidatori. 

L'UNSCEAR nel suo rapporto del 2000, sulla base di misure di radioattività e analisi di campioni, ha stimato che il rilascio totale di radioattività nell'atmosfera, escludendo l'attività dovuta ai gas nobili, è stato pari a 5.300 PBq. Il rapporto del Chernobyl forum, considerando la radioattività totale inclusi anche i gas nobili, arriva a una stima di 14 EBq, pari a 14.000 PBq. Di queste, 1800 PBq sono dovute allo iodio-131 dalla emivita di 8 giorni, 85 PBq al cesio-137 di 30 anni di emivita, 10 PBq dovuti allo stronzio-90 e 3 PBq a isotopi di plutonio, che sono plutonio 239 e plutonio 240. La contaminazione provocata dall'incidente di Èernobyl' non interessò solo le aree vicine alla centrale ma si diffuse irregolarmente secondo le condizioni atmosferiche interessando soprattutto aree di Bielorussia, Ucraina e Russia. Fra le aree a bassa contaminazione, ve ne sono anche alcune che interessano i paesi scandinavi (Svezia, Finlandia e Norvegia) e dell'Europa orientale (Bulgaria, Grecia, Moldvia, Slovenia, Austria, Svizzera e anche 300km² in Italia).È stato calcolato che l'incidente di Èernobyl' abbia rilasciato una quantità di radiazioni pari a 400 volte a quelle rilasciate in occasione della bomba caduta su Hiroshima. Dopo vari incontri, il Chernobyl Forum ha fornito un bilancio delle vittime che risulta molto meno drammatico di quanto la sensazione collettiva si aspettasse. In particolare, il bilancio delle vittime risulta essere di 65 morti accertati con sicurezza. Tuttavia sempre il Chernobyl Forum stima in aggiuntive 4.000 morti presunte in eccesso per leucemie e tumori su un arco di 80 anni, morti che non è stato né sarà possibile rivelare epidemiologicamente, distinguere statisticamente rispetto a fluttuazioni casuali, evidenziare rispetto alle circa 1.000.000 persone che comunque sarebbero morte per malattie oncologiche per cause non legate all'incidente. Tumori e leucemie infatti normalmente incidono in media per un 20~25% dei decessi naturali nella popolazione umana.


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