1 agosto 2014
ore 13:29
di Edoardo Ferrara
tempo di lettura
2 minuti, 17 secondi
 Per tutti
Il permafrost artico, immagine by NASA
Il permafrost artico, immagine by NASA

Secondo i ricercatori del National Snow and Ice Data Center (NDSIC), in Colorado, il

permafrost del Pianeta potrebbe venire ridotto di almeno due terzi entro il 2200 dal Global Warming

. Parallelamente, un recente studio dell'IPCC ipotizza uno scenario in cui il permafrost verrebbe ridotto di circa il 60% entro il 2200,

immettendo così nell'atmosfera ingenti quantità di carbonio

, immagazzinato nei ghiacci, e quindi

accelerando i cambiamenti climatici

in una sorta di feedback climatico positivo. L'NDSIC ha utilizzato modelli informatici per preventivare quanto carbonio verrebbe rilasciato dalla fusione del permafrost polare, partendo dai vari scenari ipotizzati dall'Intergovernmental Panel on Climate Change, quindi analizzando diversi risultati sull'Artico relativamente a diversi rate di crescita della temperatura globale nei prossimi anni.


Tale ricerca ( pubblicata sul giornale scientifico Tellus ) ha stimato una immissione in atmosfera di circa

190 miliardi di tonnellate entro il 2200

, ovvero circa la metà di quanta ne sia stata immessa dall'avvio dell'era industriale, 100 miliardi entro il 2100 ( in un processo cosiddetto di Permafrost Carbon Feedback, PCF, con un flusso di carbonio dal permafrost, vedi figura allegata ). Le emissioni di carbonio dal permafrost avverrebbero in buona parte tramite anidride carbonica, ma anche tramite metano, che risulta un gas serra ancora più potente. Non solo, ma con il disgelo del permafrost ritornerebbero alla luce

significative quantità di materiale organico

in esso intrappolato per millenni ( almeno 12000 anni), che marcirebbe o fermenterebbe stante l'assenza della conservazione operata dal ghiaccio,

immettendo ulteriori quantitativi di carbonio

nell'atmosfera. In effetti altre ricerche evidenziano perdite di carbonio dai permafrost dell'Alaska e della Siberia.


A fronte di questo fatto il ricercatore dell'NDSIC Kevin Schaefer mette in guardia su questa significativa nuova fonte di carbonio che deriverebbe dalla fusione del permafrost ( PCF ),

rilanciando così al rialzo le proiezioni di concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera per i prossimi decenni

, con eventuali conseguenze ancora più “calde” di quanto preventivato. Sempre secondo il ricercatore, ridurre le emissioni di gas serra risulta quanto mai fondamentale a fronte di questo fatto, in modo da ostacolare il più possibile la fusione del permafrost, con la necessità di rivedere i protocolli di riduzioni delle emissioni ulteriormente al rialzo ( in quanto sottostimate dalla non considerazione del PCF ).Scenari simili ma con metodi diversi sono stati ottenuti due anni prima dalle ricerche dell'Università della Florida. Secondo altre fonti meno drammatiche tuttavia il disgelo del permafrost non comporterebbe una crescita così significativa della concentrazione di carbonio nell'atmosfera, in quanto in un ambiente più caldo vi sarebbe anche un accrescimento della vegetazione, con conseguente maggiore assorbimento dell'anidride carbonica tramite fotosintesi.

Emissioni di carbonio correlate alla fusione del permafrost secondo le proiezioni NSDIC
Emissioni di carbonio correlate alla fusione del permafrost secondo le proiezioni NSDIC


Segui @3BMeteo su Twitter


Articoli correlati