Redazione 3BMeteo
13 gennaio 2022
ore 7:09
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Per 'degradazione del permafrost' si intende il suo riscaldamento e non si può in questo caso parlare di 'fusione', come invece avviene quando si ha a che fare con il più comunemente detto 'scioglimento' dei ghiacci. Il permafrost è lo strato di terreno permanentemente gelato che si trova nel sottosuolo di varie zone del mondo ed è costituito oltre che da ghiaccio anche da suolo e detriti. Il riscaldamento globale in corso provoca la fusione del ghiaccio, in questo caso di quello artico, deteriorando e scaldandone il permafrost.

Secondo uno studio pubblicato nell'ultimo numero di Nature Reviews Earth & Enviroment, condotto da gruppi di ricerca internazionale tra cui l'Istituto di Tecnologia della California e le università di Oulu in Finlandia e Wageningen nei Paesi Bassi, il deterioramento del permafrost rappresenta un ulteriore problema, poiché al suo interno sono racchiuse grandi quantità di carbonio sotto forma anche di gas, come CO2 e metano, che una volta rilasciati finiscono in atmosfera determinando il riscaldamento del pianeta. Un processo che si autoalimenta, poiché innescato  dal riscaldamento del Polo che contemporaneamente determina l'aumento delle temperature.

Secondo lo studio in questione entro il 2050 ciò potrebbe avere come conseguenza un costo di alcune decine di miliardi di dollari per stati come Russia, Canada e Stati Uniti. A rischio sarebbero tra il 30 e il 70% delle infrastrutture, a causa del rilascio di una quantità pari a circa 1700 miliardi di tonnellate tra CO2 e metano, ovvero dieci volte quelle emesse attualmente ogni anno da tutto il Pianeta. Secondo i ricercatori, per limitare i danni ed evitare disastri come quello dell'anno scorso a Norilsk, bisogna intervenire al più presto con nuove soluzioni ingegneristiche che possano mettere in sicurezza quanto meno le infrastrutture più strategiche e pericolose come gli oleodotti e gli impianti industriali.


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