30 maggio 2023
ore 5:58
di Giorgio Kaldor
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 Per tutti

Innanzitutto, le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti chimici prodotti dall'uomo e pertanto non presenti naturalmente nell'ambiente, che vengono utilizzati nell'industria e nei prodotti di consumo sin dagli anni '40 grazie alla loro proprietà. I PFAS - ne esistono migliaia di tipologie diverse - permettono infatti di rendere i prodotti impermeabili all'acqua e ai grassi (come nel caso di piatti di carta, padelle anti aderenti e imballaggi alimentari), ma anche di aumentare la resistenza alle alte temperature di tessuti, tappeti, pellami, dispositivi elettronici. Vengono impiegati anche per la produzione di cosmetici, nelle vernici e addirittura nella carta igienica, come hanno di recente scoperto alcuni ricercatori dell'Università della Florida. Oltre alla tendenza ad accumularsi nell'ambiente - i PFAS sono infatti virtualmente non degradabili - questi inquinanti emergenti, come per le microplastiche, persistono negli organismi viventi, compreso l'uomo. Del resto, una volta che i PFAS raggiungono l'acqua possono facilmente risalire la catena alimentare attraverso il cibo, quindi fauna e vegetali, fino al nostro flusso sanguigno. Tuttavia, se da un lato la loro tossicità ad alte concentrazioni è dimostrata, la ricerca è ancora in corso per determinare in che modo diversi livelli di esposizione a diversi PFAS possono portare a una varietà di effetti sulla salute. Sono inoltre in corso ricerche per comprendere meglio gli effetti sulla salute associati a bassi livelli di esposizione a queste sostanze per lunghi periodi di tempo, soprattutto nei bambini.

Ma quanti sono e dove sono i siti più contaminati in Europa? I dati emergono da una recente inchiesta, denominata Forever pollution project, realizzata grazie alla collaborazione di giornalisti provenienti da 14nazioni europee, Italia inclusa, che ha coinvolto in particolare le redazioni di Le Monde e The Guardian. In Europa ci sono più di 17mila siti contaminati (livelli di PFAS pari o superiori a 10 nanogrammi per litro), tutti campionati attraverso rilevazioni in acqua, suolo o organismi viventi da scienziati e agenzie ambientali tra il 2003 e il 2023. Le aree interessate salgono però a 21 mila se si considerano anche quelle "sospette" di contaminazione, cioè non ancora analizzate.

C'è però una costante: gli epicentri di inquinamento sono localizzati laddove ci sono impianti di produzione di PFAS. In Italia, tra gli hotspot noti citati dall'inchiesta, c'è ad esempio Trissino, dove per cinquant'anni l'azienda Miteni ha sintetizzato sostanze perfluoroalchiliche che hanno contaminato il suolo e le acque della seconda falda più grande d'Europa, con impatti su 350 mila persone nella pianura tra Padova, Verona e Vicenza.

Altre importanti località impattate si trovano in corrispondenza degli impianti chimici della multinazionale Solvay a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria e a Rosignano, in provincia di Livorno, già tristemente nota per le sue spiagge "caraibiche" dovute alla produzione di bicarbonato di sodio. A Spinetta Marengo, in particolare, si producono o si sono prodotti anche una particolare categoria di sostanze, iPFOA, sostanza cancerogena e vietata dal 2009.

Anche la Lombardia sarebbe colpita, come fa sapere Greenpeace Italia in un suo comunicato del 18 maggio 2023. Tramite istanza di accesso agli atti, l'Unità investigativa della ONG ha ottenuto i risultati di analisi fatte dai gestori e dalle autorità sanitarie su campioni di acqua destinata ad uso potabile, registrano in Lombardia la presenza di PFAS in quasi il 20% delle analisi condotte dalle autorità a partire dal 2018. Ma non solo: in diversi casi le autorità erano al corrente da anni di questa contaminazione, eppure non risultano campagne informative rivolte alla popolazione, che non è stata quindi avvertita dei rischi a cui è esposta.


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