28 novembre 2013
ore 12:30
di Manuel Mazzoleni
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 Per tutti
Stelle in cielo
Stelle in cielo
A tutti sarà capitato di osservare il cielo in cerca di stelle, pianeti, meteoriti o comete e di vedere una miriade di oggetti che brillano, chi più chi meno. Alcuni si saranno magari posto la domanda: quale di queste stelle è la più luminosa?

Sin dall’antichità l’uomo ha cercato di dare una risposta a questa domanda; i primi studi, infatti, sulla luminosità delle stelle furono fatti da Ipparco già nel II secolo a.C. e successivamente da Tolomeo circa nel 150 a.C. Osservando il cielo ad occhio nudo essi furono in grado di stimare 6 classi di luminosità, che chiamarono MAGNITUDINI.
Con il progresso scientifico un numero sempre maggiori di stelle furono osservate, ecco così che nacque la necessita di individuare una classificazione “uniforme”, una formulazione in grado di relazionare l’intensità dei vari oggetti con le classi di magnitudine stabilite da Ipparco.
La classificazione attuale va tuttavia oltre le 6 classi identificate da Ipparco, classificando anche gli oggetti più luminosi della prima magnitudine ed a quelli più deboli della sesta, rivelati dai telescopi. La classificazione è stata "tradotta", da un punto di vista fisico e matematico, nella "legge di Pogson" (definita nel 1856), che lega le sensazioni visive allo stimolo luminoso (1).  

Capendo che l’occhio umano reagisce alla sensazione della luce in modo logaritmico, allora si pensò di descrivere la “sensazione di luce” come una costante che moltiplica il logaritmo della “intensità di luce” più una costante che è descrivibile dalla soglia.

In altre parole la risposta dell’occhio umano, cioè la sensazione di luce, ad uno stimolo luminoso può essere descritta da una funzione logaritmica, la quale ci dà una misura della magnitudine apparente. Si scoprì inoltre che il passaggio da una classe di luminosità a quella successiva corrispondeva con un rapporto fisso fra le intensità di luce.

Ricordiamo però che un oggetto celeste può apparire splendente per due motivi, che sono completamente indipendenti, e cioè: o perché è relativamente vicino, o perché effettivamente è molto luminoso. E per questo che si parla di magnitudine apparente, ovvero la misura della luminosità dell'oggetto così come appare da Terra (questa quantità dipende da due fattori: la luminosità effettiva della sorgente (luminosità intrinseca) e la sua distanza dalla Terra). Ricordo inoltre che l’intensità di una sorgente puntiforme diminuisce inversamente al quadrato della distanza a cui si trova l'osservatore. Questo di distingue dalla magnitudine assoluta che, invece, misura la quantità di energia luminosa effettivamente emessa dalla sorgente celeste (ossia la sua luminosità intrinseca). Essa è definita come la magnitudine apparente che la sorgente avrebbe se fosse osservata da una distanza di 10 parsec (circa 32,6 anni luce).
La differenza tra magnitudine apparente e magnitudine assoluta fornisce quindi una stima della distanza dell'oggetto!  

Per darvi un idea la magnitudine apparente del Sole che è l’oggetto più luminoso del cielo è -26.85, la Luna piena -12.6, Venere -4.4, Giove -2.2, Sirio -1.4, Vega 0 ( per convenzione), Saturono 1, Stella polare 2, limite occhio umano 6, oggetti più deboli mai osservati 30.  

(1) In formula matematica la magnitudine apparente m= k*Log (I)+cost dove I è l’intensità di luce. Quindi se prendiamo un oggetto di magnitudine 0 ed uno di magnitudine 5 avranno rispettivamente intensità 100 ed intensità 1. Quindi la differenza tra due oggetti con magnitudine apparenti m1 ed m2 sarà: m1-m2=-2.5*Log(I1/I2) nota appunto come l’equazione di Pogson. Essa spiega perché la magnitudine decresce all’aumentare della intensità luminosa delle stelle, infatti di parla di oggetti brillanti quando la loro magnitudine apparente è molto piccola e viceversa.

 

 

Scala logaritmica della magnitudine apparente
Scala logaritmica della magnitudine apparente

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