10 febbraio 2019
ore 18:35
di Francesco Nucera
tempo di lettura
4 minuti, 27 secondi
 Per esperti

E' indubbio il ruolo dell'attività solare sulla circolazione atmosferica

tanto da influire sulla così detta variabilità a bassa frequenza, sull'Artic Oscillation e sulla frequenza dei pattern sinottici. Ma si è visto che l'attività solare incide anche sull'attività dei blocchi atmosferici nonchè sull'attività dei cicloni. Con il termine di “blocco” delle correnti occidentali si intende una sorta di interruzione delle correnti portanti in quota. Questo favorisce poi una maggiore ondulazione della corrente a getto ed un conseguente maggior scambio di calore lungo i meridiani. Tecnicamente il movimento zonale delle onde corte viene effettivamente alterato tanto che l’avvezione di vorticità, il principale meccanismo per cui i sistemi si muovono, perde di importanza. Le situazioni di blocco sono poi frequentemente accompagnate da eventi estremi. C'è una debole tendenza verso condizioni anticicloniche ad essere meno frequenti sotto una moderata attività solare. Da uno studio condotto proprio sui blocchi (Barropiedro et al, 2009) e sul movimento dei cicloni (stormtracks) è emerso che gli effetti del sole hanno maggiori ripercussioni sui primi, come conseguenza delle differenti scale temporali di evoluzione. Gli effetti dell'attività solare sui processi sinottici sembrerebbero infatti essere trascurabili. Inoltre è emerso che durante i maggiori casi di blocco entro una elevata attività solare tenderebbero a migrare verso est, sia nel pacifico che in Atlantico; avrebbero una durata inferiore in accordo con l'aumento della zonalità, nonchè una maggiore area di influenza. Infine inciderebbero poco sul campo termico in Europa a differenza del Nord America dove invece risulterebbe maggiore.


distribuzione regime dei blocchi in funzione delle macchie solari
distribuzione regime dei blocchi in funzione delle macchie solari
Ma c'è una relazione tra gli inverni freddi e l'attività solare?

Una ricerca condotta dall'Università di Reading affermerebbe che esiste un collegamento tra il numero esiguo di macchie solari e il calo delle temperature invernali.

Tuttavia vi è da aggiungere che questo fenomeno avrebbe caratteristiche climatiche regionali tanto da non alterare il riscaldamento globale.

Su base puramente statistica si è trovato un collegamento tra i periodi decennali di freddo intenso e la scarsa attività delle macchie solari.  Analizzando l'andamento dell’attività solare si sarebbe notato che questa ha periodi di circa 300 anni durante i quali, in maniera costante, il numero delle macchie solari sarebbe in lento ma costante aumento. Questa fase sarebbe poi seguita da periodi di circa 100 anni in cui l'attività solare sarebbe del tutto scarsa. Il periodo compreso tra il 1645 e il 1715 in cui le macchi solari erano del tutto assenti (minimo di Maunders) era coinciso con la fase più fredda dell'era glaciale. Dal 1720 e per circa 300 anni l'attività solare, in termini di macchie solari, avrebbe ripreso ad aumentare. Dal 1985 circa, il sole avrebbe ripreso però il cammino verso una progressiva diminuzione della sua attività tanto che al momento siamo a metà strada verso le condizioni del cosidetto Minimo di Maunder.

Ma in che modo le macchie solari potrebbero causare inverni più rigidi?

La scarsa attività del Sole provocherebbe maggiori situazioni di blocco delle correnti a getto, il flusso portante in quota che cintura l'atmosfera. I blocchi, una volta generatisi, attuerebbero maggior scambi di calore lungo i meridiani. Così, in Europa, quando si formerebbero i blocchi, gelide correnti di aria artica si porterebbero verso sud. Infatti ci sarebbe un aumento della frequenza de regime di tipo “easterly" sull'Europa centrale in condizioni di minimo solare in corrispondenza per altro con una decrescita del flusso zonale. Il sospetto sarebbe rivolto alla stratosfera, lo strato dell'atmosfera che si trova 20-50 chilometri sopra le nostre teste. Su questa zona, il campo di vento e di temperatura sarebbe influenzato dall'attività solare.  Questo perché i picchi della radiazione ultravioletta emessa dal sole porterebbero alla formazione di ozono nella stratosfera che a sua volta assorbirebbe più raggi ultravioletti, riscaldandosi. Il riscaldamento sarebbe maggiore nella regione della stratosfera più vicina al sole. In questo modo si formerebbe un gradiente di temperatura in tutta la stratosfera comportando la genesi dei venti. Come questo influenzi il clima è ancora oggetto di dibattito. Molto poco si sa circa la fisica che governa la stratosfera, anche se appare certo il legame tra la stratosfera e la troposfera sottostante. Nel 2009, i movimenti verso l'alto di aria nella troposfera potrebbero aver cambiato gli schemi dei venti stratosferici. Questi cambiamenti, a loro volta volta, avrebbero avuto ripercussioni in troposfera. I cambiamenti nei venti stratosferici influenzerebbero il percorso delle perturbazioni invernali in tutta Europa. Se si fosse in grado di dimostrare che il sole può allo stesso modo indurre cambiamenti nella troposfera attraverso la stratosfera, si potrebbe risolvere uno dei più grandi enigmi della Piccola Età Glaciale.

Gli effetti del sole sulla stratosfera non sono infatti globali.

Sembrerebbe che l'Europa sia particolarmente sensibile perché è "posta" sotto il getto polare a una longitudine in cui possono aversi maggiori ondulazioni. Così, mentre la tendenza generale della temperatura nell'emisfero settentrionale aumenterebbe in linea con il riscaldamento globale nei prossimi decenni, l'Europa settentrionale invece potrebbe venire coinvolta da alcuni inverni rigidi, non necessariamente in sequenza. Tuttavia questo rimane un dibattito ancora piuttosto aperto.


Segui @3BMeteo su Twitter


Articoli correlati