19 febbraio 2021
ore 17:17
di Francesco Nucera
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Artico piu' caldo porta eventi più intensi? La scienza si divide
Artico piu' caldo porta eventi più intensi? La scienza si divide

L'ondata di gelo storica che sta interessando il Nord America e il freddo e la neve in Medio Oriente hanno un unico denominatore; il vortice polare. Nel corso del mese di gennaio un evento di riscaldamento della stratosfera polare che abbiamo seguito, LO STRATWARMING, ha portato ad una divisione del vortice polare. Quando questo accade aumentano le probabilità che il gelo coinvolga le medie latitudini estendendosi anche in zone insolite come sta avvenendo ora in Texas o in Arabia. In un lavoro di Butler e Domeisen "Stratospheric drivers of extreme events at the Earth's surface" (Commun Earth Environ1, 59, 2020) si sostiene che una migliore comprensione di come la stratosfera influenzi la troposfera, insieme a modelli meteorologici numerici migliorati, potrebbe un giorno aiutare gli scienziati a prevedere meglio il tipo, l'entità, la frequenza e la posizione degli eventi estremi con settimane o mesi di anticipo. 

Ma questi sono episodi meteorologici che non smentiscono il riscaldamento globale che invece è un argomento climatico. Ma in che modo il cambiamento climatico è collegato al vortice polare e alle condizioni meteo estreme come quelle in atto? La comunità scientifica in questi casi si divide circa l'influenza dei cambiamenti climatici. 

Una scuola di pensiero sostiene che i cambiamenti climatici inducono un riscaldamento dell'Artico con un tasso di crescita che è il doppio della media globale come del resto sta avvenendo. La conseguente assenza di ghiaccio marino artico comporta, secondo la teoria dell'AMPLIFICAZIONE ARTICA, un minor gradiente di temperatura polo-equatore e dunque una maggior tendenza del jet stream a fluttuare. Queste fluttuazioni favoriscono le discese di masse d'aria fredda e risalite di quelle calde nelle pronunciate saccature e nei promontori. Per questo motivo le ondate di freddo o di caldo diventano intense e anche piu' longeve.

Judah Cohen dell'Atmospheric and Environmental Research  in: "The different stratospheric influence on cold-extremes in Eurasia and North America" (npj Clim Atmos Sci1, 44, 2018) sostiene invece che le condizioni deboli del vortice polare stratosferico sono collegate alle ondate di gelo sia in America che nel settore euro asiatico. Suggerisce però che ci sia un problema di carenza nei modelli attuali che "non simulano o non rappresentano correttamente l'accoppiamento della superficie e dell'atmosfera nell'Artico".

Secondo Kretschmer et al in "Using Causal Effect Networks to Analyze Different Arctic Drivers of Midlatitude Winter Circulation" (Journal of Climate 29, 11, 2016) vi sono meccanismi plausibili che collegano questa crescente instabilità del vortice polare al riscaldamento dell'Artico e alla perdita di ghiaccio marino. 

Francis e Vavrus in "Evidence for a wavier jet stream in response to rapid Arctic warming" (Environ. Res. Lett., 10, 2015) suggeriscono che mentre l'Artico continua a riscaldarsi più velocemente che altrove, in risposta all'aumento delle concentrazioni di gas serra, la frequenza di eventi meteorologici estremi causata da una debole corrente a getto aumenterà. La Francis sostiene inoltre che "sembra improbabile che l'Artico possa perdere metà della sua estensione del ghiaccio marino estivo negli ultimi decenni senza influenzare la circolazione su larga scala". 

Secondo Coumou et al in "The influence of Arctic amplification on mid-latitude summer circulation" (Nat Commun9, 2959, 2018) ci sarebbero prove evidenti che il riscaldamento dell'Artico indebolisce il getto estivo con condizioni meteo più estreme e persistenti.

L'altra scuola di pensiero è piu' cauta su questo argomento dal momento chenon è accertata la teoria dell'influenza dell'Artico sulla debolezza della corrente a getto per cui non si può affermare con sicurezza che questo evento possa essere da essa causato. La ragione principale del disaccordo tra gli scienziati è perché quanto osserviamo in questi episodi sarebbe quello che ci aspetteremmo secondo una relazione causa-effetto. Spesso le cose sono correlate senza essere effettivamente collegate in modo causale. Questo è piu' vero quando si analizzano eventi che avvengono nel breve periodo. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che non abbiamo ancora dati sufficienti. Ma, con le osservazioni che abbiamo, non possiamo trarre alcuna conclusione.

Sono le simulazioni modellistiche a far procedere cautamente. I modelli infatti suggeriscono che non vi sia alcun nesso tra Artico e corrente a getto debole. Se i modelli convalidassero o confermassero queste ipotesi allora ci sarebbe un maggiore consenso tra gli scienziati. Infatti secondo Screen e Blackport nella loro ultima pubblicazione del novembre 2020 "Weakened evidence for mid-latitude impacts of Arctic warming" (Nat. Clim. Chang.10, 1065-1066, 2020) viene sostenuto che "l'influenza dell'Artico sulle medie latitudini è piccola rispetto ad altri aspetti della variabilità climatica e che i periodi osservati di forte correlazione sono un artefatto della variabilità interna". Insomma sono eventi che possono rientrare nella variabilità naturale.In un lavoro recente di Lee et al "Increased shear in the North Atlantic upper-level jet stream over the past four decades"(Nature 572, 639-642, 2019) viene detto che mentre il gradiente di temperatura si è indebolito nella troposfera inferiore (a causa dell'amplificazione artica), il gradiente di livello superiore si è rafforzato, compensandosi a vicenda.

Geoff Vallis dell'Università di Exeter sostiene che "gli effetti termodinamici del riscaldamento globale, quelli legati direttamente alla temperatura stessa, sono generalmente piuttosto robusti e incontrovertibili. Gli effetti dinamici, spostamenti nelle correnti a getto, espansione dei tropici, vortici polari instabili, sono più sensibili e meno ben compresi".

In un documento di Paulo Ceppi del Grantham Institute Imperial College di Londra e Giuseppe Zappa dell'Isac Cnr "Eurasian cooling in response to Arctic sea-ice loss is not proved by maximum covariance analysis" (Nat. Clim. Chang.11, 106-108, 2021) viene contestata l'attribuzione del raffreddamento eurasiatico osservato di recente alla perdita di ghiaccio marino artico. 

Ci va cauto anche Tim Woollings dell'Università di Oxford: "Evidenti prove che il riscaldamento dell'Artico possa influenzare il jet, ma non è nemmeno chiaro se abbia avuto ancora una grande influenza". Questo perchè c'è tanta variabilità interna e questo rende difficile per gli scienziati identificare un solido collegamento statistico.


L'IPCC nel capitolo VI de "Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate" riporta: "Changes in Arctic sea ice have the potential to influence mid-latitude weather (medium confidence), but there is low confidence in the detection of this influence for specific weather types".

Per Ayarzagüena e Screen in "Future Arctic sea ice loss reduces severity of cold air outbreaks in midlatitudes" (Geophysical Research Letters, Vol43, 6, 2016) man mano che il clima si riscalda questi eventi freddi diventerebbero meno intensi. In pratica questa ondata di freddo sarebbe potuta essere ancora più fredda senza il contributo del riscaldamento globale. Il dibattito del riscaldamento dell'Artico sul jet stream rimane comunque aperto.


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