Redazione 3BMeteo
15 febbraio 2017
ore 8:20
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Balene spiaggiate in Nuova Zelanda, si cerca di salvarle
Balene spiaggiate in Nuova Zelanda, si cerca di salvarle


Uno spiaggiamento di balene con pochi precedenti, quello che ha interessato da giovedì scorso la spiaggia di Farewell Spit, in nuova Zelanda. Oltre 400 esemplari di balena si sono arenati sulla spiaggia e nonostante i continui tentativi di soccorsi dagli enti locali ma anche dagli stessi turisti, almeno 300 sono morti. Gli spiaggiamenti di balene non sono una novità in Nuova Zelanda, ma di questa portata sono estremamente rari e di assai difficile gestione: il precedente simile risale al 1985, quando 450 balene rimasero arenate ad Auckland, mentre nel 1918 gli esemplari spiaggiati furono addirittura superiori al migliaio.

Volontari ed esperti sono accorsi in centinaia già nella mattina del venerdì per tentare di salvare più individui possibile, - spiega Rudi Bressa di Lifegate.it -ma circa il 70 per cento di loro è morto durante la notte. Tra le giornate di venerdì e sabato i cetacei sopravvissuti erano tornati in mare aperto, ma buona parte di loro si sono arenati nuovamente durante la bassa marea. Nella giornata di domenica, come riporta la Bbc, gli spiaggiamenti si sarebbero ripetuti, portando ad arenarsi almeno altri 200 globicefali. Secondo gli esperti non è ancora chiaro cosa abbia spinto questi nuovi individui a riversarsi sulle coste di Farewell Spit. Pare che l'area geografica dove è avvenuto lo spiaggiamento, la Golden Bay, abbia delle caratteristiche geografiche , tra le quali i bassi fondali, che la rendono la "trappola perfetta" per i cetacei, come spiegato da Andrew Lamason, del dipartimento per la conservazione di Takaka.

Non è ancora chiaro quale sia la causa di questi spiaggiamenti: si suppone che gli esemplari anziani o non in buono stato di salute si arenino per primi, mandando un segnale d'allarme che richiama il resto del gruppo, con le drammatiche conseguenze alle quali stiamo assistendo.

Secondo altre fonti a causare la perdita dell'orientamento e i conseguenti spiaggiamenti sarebbero le attività umane, in particolare le prospezioni geosismiche - prosegue Bressa di Lifegate.itSi tratta di metodi di indagine geofisica basati sullo studio della propagazione delle onde sismiche in questo caso generate artificialmente. Molte navi utilizzano l'air gun, ovvero sparano una bomba d'aria verso il fondale marino, in modo tale da registrare la differenza dell'onda acustica rifratta dalla roccia. Un modo per conoscere la composizione dei fondali marini e la loro orografia. Ma, come suggerito da uno studio pubblicato su Nature, il forte inquinamento acustico potrebbe avere effetti deleteri sugli animali marini, in particolare su quelli che basano il proprio sistema di comunicazione e di geolocalizzazione attraverso le onde sonore. "Vi è un urgente bisogno di sviluppare metodi per valutare gli effetti del rumore subacqueo artificiale sui cetacei", si legge nell'introduzione de "Implementation of a method to visualize noise-induced hearing loss in mass stranded cetaceans". "I sonar ad alta intensità e le altre fonti di rumore, per esempio quelle relative alle esplorazione di idrocarburi e ai rilievi sismici, possono potenzialmente causare lesioni agli animali esposti". 

Appare comunque chiaro a tutti che le attività umane vadano regolamentate al fine di evitare disturbi o addirittura lesioni e sofferenze del mondo animale, in questo caso marino. 


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