10 giugno 2018
ore 12:48
di Carlo Migliore
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 Per tutti

La terribile eruzione del Vesuvio del 79 dc è sicuramente l'eruzione vulcanica più documentata della storia antica, vuoi per le testimonianze scritte di Plinio il Vecchio e di Plinio il Giovane, vuoi per i ritrovamenti archeologici che sono come lo scatto di una fotografia istantanea di quanto avvenne. Qualche dubbio resiste ancora sulla data dell'evento, quella ufficiale lo stabilisce il giorno del 24 Agosto ma alcuni ritrovamenti negli scavi, in particolare una moneta con l'effigie di Tito e la scritta "Imp XV" che sanciva la 15° acclamazione imperiale del principe che avvenne solo a Settembre del 79 potrebbero far slittare quella data in avanti. Ma oggi vi parliamo di un'altra storia, una storia meno conosciuta, quella dei fuggiaschi di Ercolano.

Pittura dell'eruzione del Vesuvio del 79 dc
Pittura dell'eruzione del Vesuvio del 79 dc

Ben noti sono infatti i fuggiaschi di Pompei collocati nell'omonimo "ortus" del parco archeologico, le persone che furono travolte dal flusso piroclastico seguito all'eruzione di cui conserviamo, grazie alla geniale intuizione dell'archeologo Giuseppe Fiorelli i calchi in gesso. Meno noti o forse per nulla ancora noti alle masse sono invece i Fuggiaschi di Ercolano, ben più numerosi e rimasti interdetti alle visite del grande pubblico fino a pochissimi anni fa. Ma facciamo un passo indietro.

Pompei, l'orto dei fuggiaschi
Pompei, l'orto dei fuggiaschi

Fino alla primavera del 1980 si era pensato che gli abitanti di Ercolano, fossero in qualche modo sfuggiti alla furia del Vesuvio perché durante gli scavi all'interno della città non furono ritrovati scheletri, quanto meno non in numero tale da giustificare una strage di massa. Si ipotizzò allora che gli abitanti di Herculaneum si fossero salvati fuggendo in mare con le loro barche. Ma la verità era ben diversa e fu scoperta solo per caso durante i lavori di restauro delle terme sub urbane che si tennero in quel periodo.

Posizione dei fornici di Ercolano
Posizione dei fornici di Ercolano

Scavando in quella che all'epoca era l'area portuale, ancora ricoperta da abbondanti materiali vulcanici, fu ritrovato un primo scheletro e la notizia fece il giro del mondo, a seguire ne furono trovati altri e altri ancora. Ben 300 scheletri circa apparvero agli occhi sbalorditi degli archeologi nei mesi successivi compreso una barca capovolta. Tutti i corpi erano stipati uno sull'altro nelle cavità dei fornici, delle costruzioni ad arco aperte verso il mare in cui si tenevano in secca le barche durante la stagione invernale. 

I fornici di Ercolano oggi aperti al grande pubblico da qualche anno
I fornici di Ercolano oggi aperti al grande pubblico da qualche anno

Gli abitanti di Ercolano, nel disperato tentativo di salvarsi, si erano stipati sotto queste arcate con una densità superiore a 3 persone per metro quadrato, in gruppi da 15 a 40 persone sotto ogni arcata. La più alta concentrazione di vittime era al coperto, sotto le volte, mentre alcuni corpi giacevano immediatamente all'esterno, con il capo rivolto verso le arcate. Diverse vittime apparivano ancora nella posizione in cui erano cadute, strette una all'altra o con le mani sul volto. La maggior parte giaceva su un fianco, altri a faccia in giù e pochi sdraiati sulla schiena. In alcuni ambienti vi era prevalenza di donne e bambini, spesso con lo scheletro femminile sopra quello del piccolo, in un ultimo abbraccio tra madre e figlio. Un cavallo emergeva in parte sopra gli scheletri umani, probabile segno di una morte più lenta.

Il macabro contenuto di uno dei fornici
Il macabro contenuto di uno dei fornici

Ma chi erano queste persone? La presenza di corpi femminili con raffinati gioielli aveva fatto pensare che qui si fossero radunati i cittadini più ricchi, forse i più restii ad allontanarsi troppo dalle loro case ma, con il procedere dei ritrovamenti, diventò evidente che le persone finite nei fornici erano di diverse estrazioni sociali che avevano in comune solo la sfortuna. Alcuni erano uomini di mare, con gli arti superiori sviluppati dall'uso dei remi e con i denti consumati dai fili per ricucire le reti. Le ossa di un uomo di bassa statura, sui 45 anni, trovato all'esterno dei fornici, vicino alla barca, erano segnate dalla malnutrizione e curvate da sovraccarichi. La colonna vertebrale deformata e la saldatura di alcune vertebre indicavano lunghi periodi di lavori pesanti. Cibo scarso, lavoro e dentatura in disordine dovevano aver reso poco piacevole la vita di quest'uomo.

Lo scheletro di un bimbo di otto anni aveva un braccio rotto da poche settimane e già in via di saldatura. Vicino, vi era un rametto di vite che, per la sua leggerezza e flessibilità, poteva essere la steccatura utilizzata per bloccare l'arto. Un altro scheletro di uomo adulto evidenziava nel lineamento tra clavicola e costole un continuo sforzo da sovraccarico. L'omero destro era danneggiato forse per il prolungato uso di una di quelle piccole imbarcazioni a un solo remo che si vedono spesso nei dipinti murali.

Lo scheletro di un soldato
Lo scheletro di un soldato

Lo scheletro di un uomo di 37 anni, probabilmente un soldato, portava una cintura formata da placchette di bronzo dorato e al fianco una spada con il fodero. Vicina, una borsa con 12 denari d'argento e due aurei. In un combattimento, magari lo stesso in cui gli era stato inferto il segno da arma appuntita che incideva il femore sinistro, doveva averci rimesso anche alcuni denti. Il regolare sviluppo dell'ossatura denotava una buona alimentazione e la testa dell'osso del femore appariva consumata, come nelle persone use a cavalcare. Gli strumenti da carpentiere trovati accanto allo scheletro, una borsa contenente un martello e due scalpelli per legno, sono un probabile indizio che in tempo di pace i soldati erano utilizzati in lavori di costruzione.

Gli abitanti di Ercolano non ebbero scampo, anche quelli che riuscirono ad arrivare alle barche e presero la via del mare non dovettero avere una sorte migliore perché dalla descrizione di Plinio il vecchio il mare era in tempesta. Egli stesso non poté attraccare nel porto e fu costretto ad approdare a Stabia, dove morì per le esalazioni gassose dell'eruzione...



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