L’effetto di SARS-CoV-2 sul sistema immunitario
Nel dicembre 2019, un nuovo coronavirus è stato isolato dai polmoni di pazienti con polmonite a Wuhan, in Cina. Questo patogeno, il SARS-CoV-2, causa una malattia che è stata chiamata COVID-19 e che ha raggiunto proporzioni pandemiche. Al 7 dicembre 2020, sono state segnalate più di 67 milioni di infezioni di SARS-CoV-2 nel mondo, causando oltre 1,5 milioni di morti.
Il COVID-19 è una patologia estremamente eterogenea e presenta manifestazioni cliniche molto variabili, che vanno da una condizione asintomatica fino ad una malattia potenzialmente letale. Un numero crescente di studi ha suggerito che questa diversità possa derivare da una combinazione di fattori, ancora poco conosciuti, che comprendono particolari dinamiche virali (come l’elevata carica di virus nell’organismo) e risposte individuali delle persone infette.
Recentemente alcuni studi hanno dimostrato che la carica virale potrebbe non influire in modo significativo sulle diverse manifestazioni cliniche di COVID-19. Infatti gli individui asintomatici sembrano avere carica virale uguale, o addirittura più alta, rispetto alle persone sintomatiche.
Da questi dati sembra emergere che la gravità della malattia COVID-19 sia determinata dalla risposta individuale della persona che viene infettata. In particolare, è stato ipotizzato che all’origine delle manifestazioni più severe della malattia ci sia una risposta immunitaria alterata.
COME FUNZIONA IL SISTEMA IMMUNITARIO?
Il nostro organismo è dotato di un potentissimo sistema di difesa dagli agenti estranei all’organismo: il sistema immunitario. Questo è composto da diverse cellule, ognuna con funzioni specifiche, che lavorano insieme in modo coordinato per riconoscere ed eliminare gli agenti estranei e potenzialmente pericolosi all’organismo come batteri, parassiti, funghi e virus.
A differenza degli altri agenti patogeni, i virus non sono organismi indipendenti ma hanno bisogno di “entrare” in una cellula “ospite” per potersi replicare e sopravvivere. L'infezione comincia appunto quando il virus penetra in una cellula dell'organismo, per esempio una cellula epiteliale come nel caso del coronavirus. Il virus si moltiplica nella cellula e la distrugge o la danneggia. In risposta al danno causato dal virus, si attivano le prime cellule del sistema immunitario, le cellule
dendritiche, che inglobano i resti della cellula infetta, li frammentano ed espongono sulla propria superficie i frammenti che derivano dal virus. Questi frammenti, detti antigeni, funzionano come una “foto segnaletica” per le altre cellule del sistema immunitario, i linfociti, in modo che essi possano riconoscere il virus e ricevano tutte le informazioni necessarie per attivarsi e distruggerlo.
I linfociti, dopo l’incontro con le cellule dendritiche, si moltiplicano e generano altri linfociti, detti “linfociti T citotossici”, che perlustrano tutto il corpo per trovare ed eliminare le cellule infettate dal virus. Le cellule dendritiche sono inoltre in grado di presentare la “foto segnaletica” del virus ad un altro tipo di linfociti: i “linfociti T aiutanti”. Questi linfociti non sono in grado di distruggere direttamente le cellule infettate dal virus ma aiutano e richiamano altre cellule del sistema immunitario per combattere il virus. In particolare, i “linfociti T aiutanti” trasmettono tutte le informazioni del virus ai linfociti B in modo che questi ultimi possano creare le “armi” più efficaci contro il virus: gli anticorpi. Una volta attivati, i linfociti B rilasciano nei liquidi dell'organismo milioni di anticorpi che legano ed uccidono il virus.
La risposta immunitaria contro un nuovo virus è dunque molto complessa e richiede una collaborazione ben coordinata tra i diversi tipi di cellule del sistema immunitario. Solitamente “la foto segnaletica” presentata dalle cellule dendritiche è molto chiara e definita, portando ad una risposta dei linfociti molto mirata, precisa e veloce contro il virus.
LO STUDIO DEL MARIO NEGRI
Durante l’infezione con il nuovo coronavirus, alcuni dati hanno dimostrato che la risposta immunitaria non è così efficace e vengono generate diverse “foto segnaletiche” del coronavirus con conseguente generazione di anticorpi spesso poco efficaci e con limitata durata nel tempo. Di conseguenza il sistema immunitario non riesce ad eliminare il virus in modo efficace, il quale
permane per troppo tempo nel soggetto, riuscendo a replicarsi e portando a manifestazioni cliniche severe.
Questo progetto ha l’obiettivo di identificare i meccanismi con cui il nuovo coronavirus possa alterare il funzionamento delle cellule del sistema immunitario, in particolare delle cellule dendritiche e dei linfociti T e B. Lo studio sistematico di tutti i componenti responsabili delle varie fasi coinvolte nella corretta risposta immunitaria al virus ci permetterà di capire se SARS-CoV-2 sia in grado o no di indebolire la risposta immunitaria con la possibilità di identificare i corretti bersagli cellulari e molecolari sui quali agire terapeuticamente per evitare che il virus blocchi la risposta immunitaria e che continui a proliferare indisturbato nell’organismo infetto.