Permafrost: una bomba a CO2
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Lo studio, pubblicato nell'edizione online del Proceedings of National Academy of Sciences, è stato effettuato attraverso sofisticate simulazioni modellistiche che hanno evidenziato che entro al fine del 21° secolo, gran parte delle regioni alle elevate latitudini diverranno una potenziale sorgente nature di biossido di carbonio, che immesso in atmosfera renderebbe vani gli sforzi umani atti a contrastare il suo incremento.
La ricerca è stata condotta da Carlo Koven del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab) in collaborazione con ricercatori provenienti da Francia, Canada e Regno Unito. La modellizzazione è stata condotta in una struttura di supercalcolo gestito dall'unità di Energie Alternative della Francia e della Commissione per l'energia atomica.
Confrontando i risultati con quelli ottenuti dall'Ipcc si evince inoltre che nei prossimi decenni ci sarà un aumento della vegetazione alle elevate latitudini, che in parte andrà ad assorbire la CO2 emessa in atmosfera. Tuttavia il nuovo modello di calcolo, che include processi prima non contemplati nello scioglimento dei ghiacci, ha evidenziato che questo assorbimento sarà sovrastato dal rilascio effettuato dal permafrost in scioglimento.
Secondo Koven includere i processi di permafrost si rivela essere molto importante. I modelli precedenti tendevano a sottovalutare drasticamente la quantità di carbonio nel suolo alle alte latitudini, perché privi dei processi di accumulo del carbonio nel suolo.
Koven e colleghi hanno cercato di stimare la quantità di anidride carbonica e metano (che contiene carbonio) che potrebbe essere liberata dall'Artico a causa del cambiamento climatico. Si stima che circa 2.167 petagrami (10^15 grammi) di carbonio intrappolate nel suolo alle elevata latitudini possano essere rilasciate in atmosfera nei prossimi decenni.