I 'ghiacciomoti' e la 'contagiosità' sismica: approfondiamo!
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Nel febbraio del 2010, un massiccio terremoto/maremoto di magnitudo 8.8 con una profondità di circa 40km ed epicentro al largo della costa cilena centrale ha causato la morte di 300 persone e danneggiato gravemente edifici e infrastrutture. Ma il sisma ha avuto anche un effetto a quasi 6000km di distanza, in Antartide.
Secondo un recente studio pubblicato in "Nature Geoscience", gli scienziati del "Georgia Institute of Technology" hanno scoperto che durante il "Temblor Maule", così è stato chiamato il grande terremoto cileno del 2010, 12 delle 42 stazioni sismiche del continente antartico hanno registrato "Ghiacciomoti", una parola che forse suona meglio in inglese "Icequake", ovvero movimenti sismici all'interno della massa provocati da fratture nel ghiaccio.
"Interpretiamo questi eventi come piccoli ghiacciomoti, la maggior parte dei quali sono stati attivati durante o immediatamente dopo il passaggio delle onde di Rayleigh generate dalla scossa del sisma cileno", ha detto Zhigang Peng, professore associato presso la Facoltà di Scienze della Terra e dell'Atmosfera, che ha condotto lo studio.
Sebbene potesse essere intuitivo, non era mai accaduto prima che vi fossero prove scientifiche dirette di quella che potremmo definire "contagiosità sismica" cioè la possibilità che eventi sismici ad elevata energia possano stimolare altri terremoti anche a grande distanza. Un fenomeno che è stato valutato anche statisticamente, esisterebbe infatti 1 probabilità su 10 che un grande terremoto possa produrre a grande distanza un altro evento sismico direttamente correlato ad esso.