Redazione 3BMeteo
21 febbraio 2024
ore 9:10
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 Per tutti

Siamo ormai verso la fine della stagione invernale 2023/2024 che, a prescindere dalla fase perturbata in arrivo negli ultimi giorni di febbraio, sarà probabilmente ricordata come una delle meno nevose in assoluto sul suolo italiano, in particolare alle quote medio-basse. Fino ad ora non è stato registrato praticamente alcun episodio significativo di neve a quote pianeggianti o collinari, eccetto che nei fondovalle alpini; al Centro-Sud la neve è stata quasi sempre assente anche in Appennino fino a quote di media o alta montagna, causando anche diversi problemi legati alla siccità

Questa stagione tuttavia non è che la punta dell'iceberg di un trend verso la diminuzione della neve ormai consolidato da diversi decenni, ma che negli ultimi anni ha assunto un'accelerazione marcata. Il grafico seguente mostra il volume in acqua equivalente della neve presente attualmente sul suolo italiano, nel complesso meno di 5 miliardi di metri cubi, dato che risulta inferiore anche rispetto alla già magra scorsa annata invernale 22-23 in questo periodo, con un deficit che tocca il 65% rispetto alla mediana relativa agli anni 2011-2022

La causa principale è chiaramente connessa al cambiamento climatico che di base ha determinato un aumento generale delle temperature, un rialzo che sul bacino del Mediterraneo è ancora più elevato rispetto alla media globale (la nostra regione è un cosiddetto hotspot climatico, dove gli effetti del global warming si manifestano in maniera più evidente). Di conseguenza, perturbazioni simili rispetto al passato sono caratterizzate da aria più mite su tutta la colonna atmosferica che determina uno zero termico e una quota neve più alta.

Ma c'è dell'altro: una variazione della circolazione atmosferica su scala europea nei mesi invernali nell'ultimo decennio ha prodotto una significativa diminuzione delle configurazioni meteorologiche favorevoli ad episodi nevosi a bassa quota specie sulle regioni settentrionali italiane. La questione è sicuramente molto complessa: non siamo ancora in grado di stabilire se è il global warming ad aver causato questo cambio di circolazione o viceversa è questa variazione regionale che amplifica il cambiamento climatico. Di conseguenza non abbiamo la certezza se questa circolazione atmosferica caratterizzerà anche i prossimi anni o sarà destinata a mutare ancora. 

Con l'ausilio delle mappe NOAA abbiamo analizzato la variazione dell'anomalia dell'altezza geopotenziale a 500 hPa nei mesi invernali (dicembre, gennaio e febbraio) rispetto alla media climatica di riferimento 1991-2020 per il decennio 2003-2012 e per il decennio successivo 2013-2022. Da questa si possono notare come sono cambiate le disposizioni delle principali figure bariche di alta o bassa pressione. Siamo passati da un decennio dove erano più frequenti le circolazioni di bassa pressione sull'Europa mediterranea agli ultimi anni in cui è maggiormente presente l'anticiclone delle Azzorre. 

Lo stesso tipo di analisi svolta sull'anomalia di temperatura a 850 hPa da un'idea di quanto l'atmosfera sia propensa ad ospitare possibili episodi nevosi sino a quote basse. Anche in questo caso c'è un sensibile trend al rialzo termico: nei primi anni 2000 erano più frequenti le incursioni di aria fredda artica fin sull'Europa meridionale e le temperature intorno ai 1000-1500 metri erano decisamente più basse rispetto a questi ultimi anni in cui prevalgono correnti  miti occidentali di estrazione oceanica. 

Gli effetti di questi cambiamenti a scala europea si ripercuotono sul numero degli episodi nevosi in Italia a bassa quota. Prendendo in considerazione le principali città italiane del Nord (Torino, Milano, Aosta, Bergamo, Verona, Bolzano, Bologna e Venezia) Centro (Roma, Perugia, Ancona, l'Aquila e Pescara) e Sud (Bari, Napoli, Campobasso, Potenza, Palermo e Cagliari) è stato analizzato come è variato il numero delle giornate nevose con accumulo maggiore a 1 cm negli ultimi 15 anni tra novembre e marzo. Suddividendo il periodo tra il 2008 e il 2023 in tre quinquenni possiamo delineare un trend rappresentativo senza che questo sia troppo influenzato dalle variazioni inter-annuali.

Si nota per il Nord Italia una diminuzione molto marcata degli episodi nevosi che nell'ultimo quinquennio sono addirittura meno della metà rispetto al periodo 2008-2013 (-63%). Il trend verso la diminuzione è evidente, seppur in maniera meno marcata anche al Centro, e ancora meno al Sud, dove il numero di episodi nevosi a bassa quota nel periodo 2018-2023 è paragonabile a quello del 2008-2013.

CONCLUSIONI - Il trend termico consolidato verso un generale riscaldamento e contestualizzato nel global warming in atto ha come conseguenza quella di sfavorire la caduta di neve a quote pianeggianti o collinari in una regione mediterranea come l'Italia. Tuttavia il riscaldamento globale può influire anche sulla dislocazione di cicloni e anticicloni. In particolare negli ultimi anni stiamo assistendo ad una maggiore ingerenza dell'anticiclone delle Azzorre e di quello Africano sull'Europa centro-occidentale, condizione che sfavorisce l'ingresso delle perturbazioni atlantiche sul Mediterraneo. Più penalizzato risulta il Nord Italia dove la possibilità di neve a bassa quota è legata al sincronismo tra l'arrivo di perturbazioni atlantiche dopo le irruzioni di aria fredda. Al Centro e al Sud, dove la neve a bassa quota cade spesso durante le avvezioni fredde, la diminuzione della neve è un po' meno marcata. 

I meteorologi di 3bmeteo Daniele Berlusconi, Edoardo Ferrara, Francesco Nucera.


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