10 aprile 2024
ore 12:08
di Carlo Migliore
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 Per tutti

Norman Myers, noto ambientalista britannico specializzato in biodiversità fu tra i primi a teorizzare il nesso tra cambiamento climatico e migrazioni. Nei suoi studi osservò che il deterioramento degli habitat naturali poteva essere un fattore determinante nella decisione di ricollocarsi altrove. Il concetto generale era già stato formulato intorno alla metà degli anni '80 quando alcuni eventi climatici estremi  definiti "perturbazioni ambientali" avevano innescato delle migrazioni da parte di alcuni popoli. Oggi la conferma delle  teorie di Myers supportate dagli studi dei maggiori centri di ricerca e delle principali organizzazioni internazionali hanno ridefinito quel concetto e coniato un termine universalmente accettato, quello del "Rifugiato climatico" una persona costretta a lasciare la propria casa o il proprio Paese a causa dei cambiamenti negativi nell'ambiente dovuti al surriscaldamento del pianeta

Le migrazioni di massa possono essere improvvise se legate ad eventi estremi, come ad esempio i due uragani di categoria 4 che colpirono nel 2020 Honduras, Guatemala ed El Salvador. La gente si riversò in massa oltre il confine col Messico, puntando verso gli USA: avevano perso casa, accesso ad acqua pulita e mezzi di sussistenza a causa di frane e piogge torrenziali. Ma il fenomeno può essere anche più graduale per il progressivo cambiamento strutturale dell'ecologia di alcune parti del pianeta. Per esempio l'innalzamento del livello marino. Negli ultimi 30 anni, il numero di persone che vive in zone costiere ad alto rischio è aumentato da 160 milioni a 260 milioni. Il 90% di queste viene da paesi in via di sviluppo e piccoli stati insulari. In Bangladesh le inondazioni hanno aumentato del 53% la salinità dei terreni agricoli. Gli agricoltori non sono più in grado di coltivare i loro normali raccolti. E poi c'è la desertificazione,  tra il 2006 e il 2010 in Siria un buon numero di terreni fertili si è desertificato. Si sono ridotti i raccolti, 800.000 persone hanno perso i mezzi di sussistenza, l'85% del bestiame siriano è morto. Risultato? Aumento vertiginoso dei prezzi, 1.5 milioni di rifugiati climatici dalle campagne in città, e chi è rimasto nelle aree rurali è diventato facile preda dello Stato Islamico. Dall'ambiente alle guerre civili, tutto può essere parte di un unico effetto domino che produce (come nel caso della guerra Siriana) altri rifugiati.

I numeri del futuro sono spaventosi, entro il 2050 i rifugiati climatici potrebbero essere almeno un miliardo. Come si potrà far fronte a un simile problema globale. Servirà un enorme lavoro di squadra, dai governi alle istituzioni civili, al mondo accademico e alle aziende. Una nuova consapevolezza che dovrà essere supportata da una nuova formazione per coloro che dovranno cambiare tecniche di allevamento, di coltivazione per la sussistenza. Contemporaneamente si dovrà scongiurare un ulteriore aumento delle temperature cercando di rispettare gli accordi di Parigi e contenere l'aumento entro e non oltre i 2°C ma qui, le chance di farcela, sono ormai ridotte al lumicino.


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