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26 gennaio 2024
ore 8:19
di Valeria Pagani
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3 minuti, 55 secondi
 Per tutti

Intervista a Francesco Fatone, professore Ordinario di Ingegneria Chimico-Ambientale e Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ingegneria Civile, Ambientale, Edile e Architettura presso l'Università Politecnica delle Marche. Si occupa dell'approccio Nexus tra acqua energia e cibo ed è coordinatore di numerosi progetti di ricerca finanziati dalla Comunità Europea.

Cosa si intende per approccio Nexus acqua-energia-cibo?

Il Nexus è un approccio integrato che aiuta a comprendere e ad analizzare le interconnessioni tra le risorse idriche e gli altri settori come l'energia e la produzione di cibo, con l'obiettivo di garantire una gestione sostenibile delle risorse e ridurre al minimo gli impatti sugli ecosistemi. Faccio un esempio: per distribuire acqua in agricoltura e produrre cibo serve energia. In base a dove proviene l'acqua - se da un acquifero, da un corso superficiale piuttosto che da un dissalatore di acqua marina - vado a consumare quantità ben diverse di energia. Una volta utilizzata in agricoltura, quest'acqua va quindi ad avere un'incidenza diversa sul cibo che produco, su quanto questo è sostenibile e sui suoi costi. Inoltre, con l'acuirsi dei cambiamenti climatici potrebbero presentarsi fenomeni di siccità, che richiedono un maggiore uso di acqua e di energia e di conseguenza costi e consumi maggiori sia in termini di risorse che di emissioni. L'approccio Nexus serve quindi a progettare sistemi complessi e nuovi approcci gestionali che considerino le interconnessioni tra le diverse risorse e ne facciano emergere le possibili sinergie. L'approccio Nexus è quindi finalizzato all'individuazione di soluzioni efficaci per ridurre i costi ambientali derivanti dall'uso delle risorse.

Un approccio Nexus acqua-energia-cibo che considera l'integrazione tra le risorse può mitigare il rischio dei cambiamenti climatici e garantire un adattamento migliore?

Certo e lo spiego portando un esempio. Nell'ambito del progetto CardiMed EU, ad Alghero, in Sardegna, stiamo progettando un sistema di depurazione che tratta le acque reflue municipali in maniera che queste possano essere riutilizzate in maniera sicura in agricoltura, all'interno di in un area dimostrativa. Quest'area sarà equipaggiata con un sistema di irrigazione efficiente, adattandosi alle caratteristiche di umidità del suolo e alle condizioni meteorologiche,  in modo da erogare il quantitativo di acqua necessario a seconda delle condizioni ambientali. Per depurare l'acqua però si consuma energia, che va ad incidere sia sull'impronta energetica che sull'impronta ambientale. Per far fronte a questi costi, stiamo progettando un sistema agri-voltaico che, al momento opportuno, darà energia ai trattamenti per migliorare la qualità dell'acqua, mentre, durante la fase di irrigazione, darà energia al sistema di pompaggio. Questo esempio è sicuramente una delle soluzioni che permette di ridurre le emissioni del settore agricolo e insieme ridurre la pressione sulla risorsa idrica,  garantendone allo stesso tempo la possibilità di utilizzo anche nelle aree soggette a periodi siccitosi, come nel bacino del Mediterraneo.

Ribaltando la prospettiva, ovvero quando l'acqua diventa troppa a causa dei cambiamenti climatici - quindi per le piogge intense o le alluvioni - quali soluzioni infrastrutturali possono essere messe in atto nelle aree urbane per far fronte a questi fenomeni? 

Attualmente l'elevata impermeabilizzazione delle aree urbane è tale da minimizzare l'assorbimento graduale delle acque meteoriche e la resilienza di fronte a piogge intense. Oggi serve rivedere e integrare i sistemi di drenaggio urbano con quelli che sono chiamati SuDS, ovvero sistemi di drenaggio urbano sostenibile, soluzioni che mettono insieme tecnologia e natura. Dai parchi urbani, all'uso di pavimentazioni drenanti (come il calcestruzzo drenante), dai tetti verdi ai rain garden (giardini leggermente interrati rispetto al piano della strada, che permettono la raccolta e l'infiltrazione delle acque). Tutto questo deve essere incluso nella pianificazione proprio per arrivare ad avere le cosiddette città spugna, un nuovo modello urbano in grado di assorbire l'acqua e, nei casi virtuosi, anche di recuperarla. Un esempio è stato presentato da Gruppo Cap nell'area metropolitana di Milano, dove, grazie a un ingente finanziamento del PNRR, verrà riqualificata un'area di 530mila metri quadrati attraverso la sostituzione dell'asfalto con superfici permeabili in grado di far filtrare l'acqua e allo stesso tempo mitigare le isole di calore nel tessuto urbano. Sono opere che costano decine di milioni di euro, ma che hanno ricadute positive sulla città, non solo da un punto di vista estetico, ma soprattutto per la sicurezza delle persone di fronte alle forte piogge o ai picchi di calore che nei prossimi anni si prevede saranno sempre più intensi. 



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