7 aprile 2020
ore 6:40
di Edoardo Ferrara
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 Per tutti

CORONAVIRUS E CLIMA, LE RICERCHE CONTINUANO PER TROVARE EVENTUALI CORRELAZIONI - Stiamo vivendo uno dei momenti più difficili per l'umanità, con l'intero pianeta chiamato a fronteggiare l'emergenza sanitaria per la pandemia da Covid-19. In questi giorni molto duri, la ricerca non si ferma ed è in fermento, trasversale su diversi fronti, per cercare di conoscere il più possibile la struttura di questo nuovo virus ma anche il suo comportamento. Tra questi fronti vi è anche quello climatico: nuove ricerche scientifiche sono state pubblicate (o sono in fase di pubblicazione) negli ultimi giorni, per cercare di trovare le correlazioni tra il Covid-19 e il clima, sia per quanto riguarda la sua sopravvivenza in un determinato contesto climatico, sia per quanto riguarda l'efficacia della sua diffusione. Avevamo già trattato l'argomento a seguito delle pubblicazioni di primi studi cinesi. Con il passare dei giorni abbiamo un maggior numero di dati disponibili su distribuzione ed entità del contagio a livello globale; questo fatto permette analisi statistiche via via più accurate sebbene la qualità, capillarità e consistenza di questi dati non sia propriamente omogenea (ad esempio in Africa e India i dati sulla diffusione del virus potrebbero non essere completi).

IL COVID-19 PREDILIGE IL FREDDO? ECCO COSA DICONO LE ULTIME RICERCHE


Tra le ultime ricerche pubblicate, interessante quella di Alessio Notari, docente di Fisica Teorica presso l'Università di Barcellona (qui la pubblicazione e la ricerca completa). Lo studio considera un campione di 42 Stati in tutto il mondo, tra cui anche l'Italia, Argentina, Australia, oltre ovviamente numerosi Paesi europei: per ogni Stato, vengono quindi analizzati i dati di diffusione del virus a partire dal giorno in cui ne sono stati ufficializzati almeno 30 e per i 12 giorni successivi. Il perché della scelta di questo intervallo di tempo risiede nel fatto, che a livello medio globale, si è notata una crescita esponenziale dei contagi in questa fase temporale nella quale il virus è quasi totalmente libero di agire, prima di un progressivo appiattimento della curva

Dunque in questo lasso temporale si è analizzata la funzione di crescita esponenziale dei numeri dei contagi in funzione del tempo, quindi estrapolando i parametri che ne contribuiscono sulla base di analisi matematiche effettuate sui dati disponibili del contagio. Per quanto riguarda la temperatura, si è considerato il valore medio tra fine febbraio e marzo per i vari Stati effettuando una media su quelle delle varie principali città di appartenenza, pesata sulla popolazione. Senza entrare troppo nei dettagli  (consultabili sulla ricerca completa), quello che emerge dalle analisi è che la diffusione del contagio sembra rallentare con l'aumentare della temperatura, mentre presenta un massimo di efficacia e quindi pericolosità ad una temperatura intorno 9°C (con 2°C di tolleranza al di sopra e al di sotto).  A temperature più basse invece l'efficacia del contagio va progressivamente riducendosi: ancora in fase di studio il perché di questo risultato, tra le cause potrebbe essere quella del fatto che vi è meno occasione di aggregazione all'aperto in contesti climatici freddi. 

Altra ricerca interessante è quella del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge, negli USA, dalla quale si evincono risultati consistenti con le ricerche cinesi di inizio marzo, ma anche con quella di Notari (qui la ricerca completa). In particolare da questo studio emerge che circa il 90% dei contagi da Covid-19 sarebbe avvenuto, per ora, in un intervallo di temperatura compreso tra 3°C e 17°C e in un range di umidità assoluta compreso tra i 4 e i 9 grammi per metro cubo. Le aree geografiche che tra gennaio e marzo hanno evidenziato temperature medie superiori ai 18°C hanno riscontrato un numero decisamente inferiore di contagi, ad oggi stimato al di sotto del 6% dei casi. Di fatto sono evidenti casi di contagio anche nei Paesi caldi, tuttavia secondo le analisi dei ricercatori del MIT la trasmissione dell'infezione è decisamente più veloce nelle zone dove vige ancora un clima invernale. Nel caso specifico degli Stati Uniti, il contagio procede a ritmo più lento in Texas, Florida e Arizona (dove fa mediamente più caldo), rispetto agli Stati più settentrionali come New York e Washington. Da queste analisi tuttavia non è ancora chiaro se ai fini della trasmissione del contagio sia più influente la temperatura o l'umidità assoluta del'aria.

A questi risultati fanno eco, oltre alle ricerche cinesi di inizio marzo per le quali la trasmissione del virus risulta più lenta in ambienti caldi e umidi e più efficace in aria fredda e secca, anche altri studi effettuati da ricercatori spagnoli e finlandesi e in fase di pre-pubblicazione (qui la ricerca completa). Tra gli aspetti più interessanti emerge quello di range di 'optimum climatico' per il virus ancora più particolareggiato e che va dai 2°C ai 10°C.

IL CALDO DUNQUE OSTACOLA IL VIRUS?

Il comune denominatore degli studi fino ad ora effettuati è quello del caldo come fattore di potenziale ostacolo per questo nuovo virus. Ricordiamo infatti che il Covid-19 fa parte della stessa famiglia di Coronavirus alla quale appartiene l'influenza: nella stragrande maggioranza dei casi questi virus perdono il loro potenziale infettivo con il caldo in quanto viene danneggiata almeno in parte la loro integrità strutturale. A tal proposito un team di ricercatori dell'Università dello Utah sta studiando gli effetti di alterazione di temperatura e umidità sulla struttura molecolare del virus. 

L'ESTATE CI AIUTERA'?

Ad oggi, nonostante le numerose ricerche in corso, non è ancora possibile dare una risposta definitiva in quanto non si conosce il Sars-Cov-2 a sufficienza per poterlo fare: è tuttavia plausibile che anche il Covid-19, analogamente alla maggior parte dei membri della famiglia dei Coronavirus, subisca un rallentamento della diffusione durante la stagione calda. Ribadiamo che questo non significa che con il caldo il virus muore, ma potrebbe risultare meno infettivo. Se questa correlazione virus-clima fosse confermata dovremmo comunque considerare due aspetti importanti: il primo è che con l'arrivo dell'Inverno australe paesi come Australia, Argentina e Sud Africa dovrebbero registrare un'accelerazione dei contagi nei prossimi mesi. Il secondo, che riguarda noi, sarebbe di tipo temporale: avremmo infatti un vantaggio solamente temporaneo e non di immunità, legato semplicemente alla ciclicità delle stagioni. Con il ritorno al prossimo Inverno infatti il Covid-19, in parziale quiescenza durante i mesi caldi, potrebbe tornare a diffondersi con maggiore efficacia, esattamente come fanno diversi virus influenzali stagionali. Certamente nei prossimi mesi ne sapremo di più e potremo avere risposte più chiare e puntuali anche su questi importanti quesiti.

LA DISTANZA SOCIALE RESTA LA MIGLIOR DIFESA 

Dunque le analisi sulle correlazioni Covid-19 e clima ci danno solo delle 'speranze' legato alla stagionalità e non affermano che il virus muoia necessariamente con il caldo (come avvenne ad esempio con la Sars). Dunque ad oggi, la distanza sociale resta la nostra miglior difesa, in attesa di un possibile vaccino.

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