26 giugno 2023
ore 6:06
di Valeria Pagani
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 Per tutti

Per distaccarsi dalla dipendenza del gas russo, per garantire forniture di energia stabili e per trasformare l'Italia in un paese a zero emissioni è il momento di una reale transizione verso l'uso di fonti rinnovabili.

Nei mesi scorsi la sempre più estesa chiusura delle forniture di gas russo verso l'Europa ha fatto schizzare i prezzi dell'energia a livelli mai visti: a fine agosto nella borsa europea si sono toccati i 341 euro al megawattora. Il caro energia sta mettendo in ginocchio sia l'economia italiana, con aziende costrette a ridurre le proprie produzioni e aumentare i prezzi o chiudere, sia le famiglie, alle prese con aumenti spropositati delle bollette. Sicuramente anche con il nuovo cambio di governo, uno dei temi principali dell'agenda politica rimarrà il tetto al prezzo del gas. Un gas da cui siamo inesorabilmente dipendenti, ma che potrebbe, e dovrebbe, presto essere sostituito da altre fonti di energia: quelle rinnovabili. 

La corsa alle rinnovabili è infatti oggi segnata da due necessità: la prima diventare indipendenti dal gas russo, la seconda, più importante e di lungo periodo, mettere in atto quel processo di transizione ecologica verso un'economia a zero emissioni. I cambiamenti climatici, causati dall'eccessivo accumulo di gas serra in atmosfera (principalmente anidride carbonica e metano), sono infatti la questione più urgente del nostro presente e dell'immediato futuro. La produzione di energia derivante da fonti fossili (carbone, gas e petrolio) è il settore maggiormente responsabile delle emissioni dei gas climalteranti. Per questo motivo la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con le energie rinnovabili rappresenta la principale condizione necessaria per non ritrovarsi in mercati dell'energia impazziti e garantire un futuro desiderabile a tutte le persone che abitano il pianeta. Perché i cambiamenti climatici, ormai si sa, stanno avendo conseguenze negative in tutto il mondo: dalla siccità alle alluvioni, dall'innalzamento dei mari all'insicurezza alimentare, dalla riduzione dei servizi ecosistemici alla diffusione di nuove malattie. A marzo di quest'anno il CITE, il Comitato interministeriale per la transizione ecologia, ha approvato il Piano per la transizione ecologica (PTE), che mira, tra le altre cose, a perseguire la decarbonizzazione delle industrie e dei trasportie a promuovere una maggiore tutela delle risorse naturali.

Prima di dare un occhio alle proposte del piano, è importante capire cosa e quali sono le energie cosiddette rinnovabili o pulite, ovvero quelle che producono elettricità senza emettere i gas serra. Sono comunemente considerate energie pulite: l'energia solare, che "cattura" la radiazione solare tramite l'installazione di impianti fotovoltaici e l'energia eolica, che sfrutta l'energia cinetica prodotta dal vento attraverso l'installazione di pale eoliche; l'energia geotermica, che si ottiene grazie al calore naturale presente nella terra a profondità elevate; energia da biomasse, che è prodotta dalla combustione di materiali di origine organica, quali alberi, piante, rami, animali, rifiuti urbani, residui agricoli; la conosciuta energia idroelettrica, che sfrutta grandi masse d'acqua movimentate dalla gravità o convogliate in dighe e canali; infine la poco applicata energia maremotrice, ricavata dagli spostamenti d'acqua causati dalle maree. 

E il nucleare? Lunghi dibatti si sono susseguiti negli ultimi anni per capire se inserire l'energia nucleare nella tassonomia verde, ossia il documento che stabilisce quali fonti sono e quali no. Per ora la risposta è no, l'energia nucleare non è considerata pulita. Una delle critiche maggiori è la produzione di scorie radioattive di difficile stoccaggio. Inoltre le centrali nucleari sono circa quattro volte più costose degli impianti eolici e solari, e richiedono il quintuplo del tempo per essere costruite. Rischi, costi e tempi troppo ingenti e lunghi. C'è da fare una nota aggiuntiva anche sull'idrogeno: il primo elemento della tavola periodica non è infatti una fonte di energia, ma un vettore energetico, dato che per ottenerlo serve a sua volta energia. L'idrogeno non esiste "da solo" in natura, ma è sempre legato ad altri elementi, come ad esempio all'ossigeno (formando la molecola dell'acqua) o al carbonio, andando a comporre, nei suoi più svariati legami (cioè il diverso numero di atomi di carbonio e di idrogeno), gli idrocarburi. Per separare l'idrogeno dagli altri elementi con cui si trova è necessario "estrarlo" usando energia, che può provenire da fonti fossili o da fonti rinnovabili. Il cosiddetto "idrogeno verde", l'unico pulito, può essere ottenuto separando l'atomo H dalla molecola dell'acqua (H 2 O) attraverso un processo di elettrolisi alimentato da energia rinnovabile.

Così davanti alla crisi climatica, ecologica ed economica, il contributo delle energie rinnovabili è un fattore cruciale per il futuro. Secondo quanto previsto dal piano per la transizione ecologica, la generazione di energia dovrà dismettere l'uso del carbone entro il 2025 e provenire per il 72% da fonti rinnovabili entro il 2030, per poi arrivare al 100% al 2050. Un obiettivo ambizioso, dato che nel 2020 le fonti rinnovabili coprivano il 20% della produzione complessiva di energia. Ci sono però esempi di regioni già virtuose: nel 2020 la Valle d'Aosta, grazie alla produzione di energia da fonti rinnovabili (in primis idroelettrico), ha coperto più del proprio consumo energetico complessivo. Ovvero tutti i consumi sono stati soddisfatti da una produzione di energia interna e green. Naturalmente la disponibilità di fonti pulite dipende dalle potenzialità dei territori, dalla loro morfologia e composizione, ma non è un caso se l'Italia viene chiamata il paese del sole. Il bel paese infatti beneficia di un irraggiamento solare superiore del 30-40% rispetto alla media europea, per questo ci sarebbero grandi opportunità per il fotovoltaico. Ma l'Italia è percorsa anche da grandi ostacoli che la tengono da lungo tempo immobilizzata: le difficoltà autorizzative e le complessità procedurali che rallentano e limitano la crescita del settore delle rinnovabili. Sono le sabbie mobili da cui molte aziende e investitori non riescono a uscire e, per non rimanere impantanati, spesso neanche provano a oltrepassare.


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