25 aprile 2020
ore 19:00
di Edoardo Ferrara
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Coronavirus e inquinamento
Coronavirus e inquinamento

SIMA: CORONAVIRUS RILEVATO NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO - Lo ha annunciato la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA): il Coronavirus Sars-Cov-2 è stato ritrovato sul particolato atmosferico (l'acronimo è PM), nel quale rientrano dunque anche le polveri sottili PM10 e PM2.5. Questa importante evidenza segue di circa un mese un Position Paper pubblicato dalla stessa SIMA sulla "Valutazione della potenziale relazione tra l'inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell'epidemia da Covid-19" (qui lo studio).

Nello specifico la prima parte di questa nuova ricerca aveva come obiettivo quello di rilevare la presenza dell'RNA del Sars-Cov.2 sul particolato atmosferico. "Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d'aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo" spiega il professor Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca scientifica insieme al professor Gianluigi De Gennaro e al professor Alessandro Miani, presidente della SIMA. 

I campioni sono stati quindi analizzati dall'Università di Trieste, in collaborazione con i laboratori del'azienda ospedaliera Giuliano Isontina e dai quali è stata rilevata la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate analizzate. "Risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP, quest'ultimo altamente specifico per la presenza dell'Rna virale Sars-CoV-2." - prosegue Setti. "Possiamo confermare di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di Rna virale del Sars-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele".

Secondo il professor De Gennaro "questa è la prima prova che l'Rna del Sars-CoV-2 puo' essere presente sul particolato in aria ambiente suggerendo cosi' che, in condizioni di stabilita' atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus Sars-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell'atmosfera come gia' ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L'individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti". Alessandro Miani, presidente del Sima dichiara inoltre che "questa prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del Coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell'inizio di una nuova epidemia".

Di fatto nell'ultimo mese sono emerse diverse ricerche scientifiche che pongono in relazione l'inquinamento con la diffusione di questo coronavirus, tra cui quella dell'Università dell'Harvard. E' noto che in generale il particolato atmosferico può fungere da cosiddetto 'carrier', ovvero trasportatore, per diversi contaminanti chimici e biologici tra cui anche alcuni virus e batteri. In particolare alcuni virus (non necessariamente tutti) possono aderire al particolato tramite il cosiddetto processo di coagulazione, formando particelle solide e/o liquide in grado di rimanere stabili in atmosfera anche per ore e giorni, quindi diffondendosi per lunghe distanze. In alcuni casi il particolato può fungere dunque da 'substrato', che permette al virus di rimanere vitale nello spazio per un certo periodo. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato questa dinamica nel caso dell'influenza aviaria del 2009 (correlazione esponenziale tra i casi di infezione e le concentrazioni di PM10 e PM2.5) e nei casi di morbillo su 21 città cinesi nel biennio 2013-2014, in relazione alla concentrazione di PM2.5.

Secondo questa ricerca dunque il virus Sars-Cov-2 può 'attaccarsi' al particolato atmosferico; il punto cruciale da capire è se il virus mantiene la propria carica virale e infettività nel particolato. La presenza di RNA rilevato infatti non implica automaticamente che il virus rimane infettivo: la struttura dello stesso potrebbe deteriorarsi almeno in parte, in funzione delle condizioni ambientali, perdendo la sua infettività (cosa che succede ad esempio per diversi virus quando la temperatura è troppo elevata o si ha un'alta concentrazione di raggi ultravioletti provenienti dal Sole, entrambi fattori che tendono a far seccare il virus o comprometterne almeno in parte la struttura vitale). A prescindere da questo, una duratura esposizione a significative concentrazioni di inquinanti debilitano la nostra salute e in particolare le difese delle vie respiratorie, target primario di questo virus (fatto che spiegherebbe in parte il numero di casi eccezionalmente elevato in Pianura Padana).

"Siamo in stretto contatto con l'Organizzazione Mondiale della Sanita' e con la Commissione Europea per condividere i risultati delle nostre analisi. Sono in corso ulteriori studi di conferma di queste prime prove sulla possibilità di considerare il PM come 'carrier' di nuclei contenenti goccioline virali, ricerche che dovranno spingersi fino a valutare la vitalità e soprattutto la virulenza del Sars-CoV-2 una volta coagulato con particolato" commenta infine Miani. 

NOTA IMPORTANTE: questa ricerca è stata pubblicata sulla piattaforma Medrxiv ed è ancora nella fase di 'preprint', ovvero i risultati dovranno essere ulteriormente validati e confermati dalla comunità scientifica. Seguiranno aggiornamenti.

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