5 ottobre 2023
ore 7:57
di Valeria Pagani
tempo di lettura
3 minuti, 39 secondi
 Per tutti

L'industria tessile e di abbigliamento è un settore ad alta intensità di risorse, ma soprattutto è un settore ad alta intensità di scarti. Dei 100 miliardi di capi prodotti ogni anno, 92 milioni di tonnellate finiscono in discarica. Possiamo immaginarci questo numero come un camion pieno di vestiti che finisce in discarica ogni secondo. Esemplare è stato il ritrovamento di 39.000 tonnellate di vestiti gettati nel deserto cileno di Atacama. Alle spalle della città di Iquique, vere e proprie montagne di camicie, scarpe, giacche, pantaloni di ogni forma, marca e materiale si intervallano alle dune del deserto. Il problema è che questo abbigliamento-prodotto in prevalenza dalle aziende di fast fashion - non è biodegradabile, in quanto realizzato prevalentemente con poliestere, una fibra sintetica ottenuta dalla lavorazione di gas naturale e petrolio. Oltre a sprecare tutte le materie prime utilizzate per la produzione (dall'acqua, alle fibre, all'energia..), la sovrapproduzione e il consumo eccessivo dell'industria della moda hanno un alto costo ambientale, che lascia segni evidenti e nocivi nel mondo.

Purtroppo il trend di produzione e scarto di tessuti destinati al settore moda è in crescita. Per arginare il problema - o meglio per frenarlo - è necessario ridurre la produzione di vestiti, ma anche creare filiere di riutilizzo o riciclo dei capi stessi, così che non diventino scarto ma assumano nuova vita e funzioni. Un vestito che non usiamo e non vogliamo più, come potrebbe essere ripensato in modo virtuoso? In primis potrebbe essere riutilizzato. Quei capi in buone condizioni possono essere rivenduti in negozi di abbigliamento usato o vintage. Poi si può pensare al riciclo. Dai capi costituiti da un unico materiale e di un unico colore si possono infatti ricreare nuovi filati e tessuti rigenerati. Recentemente si è riscoperto l'upcycling o refashioning, quell'attività sartoriale creativa che rielabora i capi realizzati con un buon materiale, ma con difetti che ne impediscono la rivendita. Ed infine processi che vedono la creazione di isolanti o altri prodotti (ad esempio per l'edilizia) a partire da capi in condizioni molto scarse e a composizione mista, dunque non rivendibili e non riciclabili.

Ma per attivare questo circolo virtuoso di riuso e riciclo del settore moda è necessario creare delle filiere vere e proprie. E questo è quello che si sta cercando di fare anche in Italia. RETEX.GREEN è il primo consorzio italiano no-profit di produttori della filiera del mondo tessile di abbigliamento. La missione principale del consorzio è la gestione circolare dei rifiuti provenienti dai prodotti del tessile, dell'abbigliamento, delle calzature e della pelletteria. Il consorzio si fa carico della raccolta attraverso diversi canali, primo fra tutti quello della raccolta urbana. A raccolta avvenuta, si occupa dello stoccaggio incentri Intermedi, del trasporto agli impianti di selezione dove il rifiuto, selezionato per qualità della fibra e colore, viene valutato in primis per un possibile riutilizzo, in secondo luogo per il riciclo e, in ultima istanza, per lo smaltimento.

Re4Circular è invece una piattaforma che mette in contatto le realtà di raccolta e smistamento indumenti usati con le realtà della moda circolare che li ricercano per la rivendita, il riciclo o l'upcycling. E così anche due aziende a conduzione familiare del pratese, Rifò e Lofoio, realizzano i filati da processi di rigenerazione di tessuti usati. I vecchi indumenti vengono raccolti e selezionati, poi vengono sfilacciati, trasformati di nuovo in materia prima, filati e poi tessuti in nuovi capi durevoli e di qualità. L'azienda di calzature ACBC- Anything Can Be Changed - , invece, realizza scarpe con materiali riciclati e di origine vegetale. E per essere sicuri che le aziende agiscano in una vera ottica di circolarità e sostenibilità - sia ambientale che sociale - è nato il progetto Trick, una piattaforma digitale per tracciare tutto il percorso che compie un capo d'abbigliamento, dalla materia prima al fine vita, attraverso la blockchain. Il progetto consente alle aziende della moda di raccogliere dati verificati e non modificabili sulla storia dei prodotti. La blockchain contribuisce infatti a tutelare i consumatori, informandoli sull'utilizzo di prodotti chimici pericolosi o certificando la tutela dei diritti dei lavoratori.


Seguici su Google News


Articoli correlati